In questo momento più che mai, a mio parere, c’è un fattore che pesa enormemente sulla vita di migliaia di bambini e bambine in particolare e che riguarda il tema della sperequazione abitativa.
Il divario di censo, come molti hanno recentemente rilevato, incide senz’altro sulla possibilità di accesso agli strumenti dell’informatica e quindi alla didattica a distanza – che è comunque necessariamente inadeguata e poco efficace per tutte/i – ma mi sento di dire che più ancora incide sull’accesso allo spazio.
Ogni giorno, da un mese a questa parte, nell’ora più quieta del pranzo, mi avvio come una fuggiasca con mia figlia seienne per le strade meno battute che da dietro casa si inerpicano per le colline. Ci fermiamo a giocare per un quarto d’ora in uno spiazzo di pietra davanti ad una piccola chiesa finché un passante con il cane non si avvicina sussurrandomi “Signora, faccia attenzione, stanno facendo i controlli”.
Rientro con il cuore pesante, faccio fatica a spiegare a mia figlia – che da sempre ho educato alla libertà – che possiamo restare fuori casa solo per un breve tempo, giocare poco e senza attirare l’attenzione e cercando, nel contempo, di eludere la sorveglianza delle forze dell’ordine. E lei non riesce a capacitarsi del perché mai i poliziotti ci dovrebbero fermare per quello che stiamo facendo.
Tuttavia mi ritengo fortunata perché posso comunque offrire alla mia bambina questi limitati momenti all’aperto, al sole, alla luce, e posso farlo perché abitiamo in un quartiere che ci permette di raggiungere facilmente luoghi più solitari e piacevoli, perché posso permettermi il rischio di incorrere in eventuali sanzioni e perché posso spiegare a mia figlia perché stiamo trasgredendo la legge.
Allo stesso tempo, mentre passeggiamo per le vie appartate che costeggiano quel susseguirsi di ville che punteggiano le nostre colline, sento da dietro gli alti muri in pietra, le voci e le risate di bambini che giocano spensierati fra gli uliveti e nei soleggiati parchi delle loro abitazioni.
Penso allora a quelle molte famiglie che vivono in contesti abitativi ristretti, o sovraffollati, o comunque inadeguati (tanto per limitarci a evidenziare le carenze strutturali tralasciando le possibili ricadute di tali condizioni all’interno di un nucleo familiare). Penso a quelle migliaia di bambini e bambine che da settimane sono compressi in spazi angusti, in seminterrati, in abitazioni scarsamente areate e illuminate, in quartieri inospitali, per i quali la privazione dello spazio aperto diventa una condanna.
Mi pare che in questo particolare momento critico che stiamo vivendo, questo aspetto evidenzi – se mai ce ne fosse bisogno – la stridente assenza di pari opportunità persino nell’accesso ai beni più primari quali lo spazio, l’aria, la luce.
Daria De Picchis