La politica che progetta per il futuro, l’utopia, il conflitto

By Firenze Città Aperta 4 anni ago
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Le innovazioni, mancate, della politica – Si è detto da più parti che la pandemia, oltre alle conseguenze drammatiche che comporta, avrebbe portato ad innovare profondamente la politica in senso positivo, e cioè come rivalutazione del pubblico sul privato, come definizione di priorità diverse nella destinazione delle risorse, come maggiore attenzione alle tematiche ambientali.

Ebbene, non vi sono segnali concreti e significativi di svolte in tal senso. Tanto che il Governo attuale, nonostante che abbia grandi limiti, vivendo alla giornata e senza progetti per il futuro che colgano le esigenze di innovazione e di trasformazione (ma piuttosto quelle dei poteri forti per l’utilizzo dei finanziamenti che arriveranno dall’Europa al fine di contrastare le conseguenze del corona virus), non ha alternative, se non peggiorative.

Una proposta di buon senso come quella di una imposta straordinaria sui grandi patrimoni – per trovare le risorse necessarie in questo momento di emergenza – suscita reazioni scomposte e grida di allarme per il minacciato attentato ai ceti medi (ceti medi che si sarebbero arricchiti tutto ad un tratto, venendo, evidentemente e improvvisamente, in possesso di grandi patrimoni). Fa scandalo, infatti, il proposito di intervenire, con una tassazione progressiva che andrebbe dallo 0,2 al 2 %, su patrimoni superiori a 500.000 euro, con tasse cioè che riguarderebbero il 6% della popolazione italiana, quel 6% che detiene il 45% della ricchezza complessiva.

Un ragionamento serio andrebbe fatto sul perché si sia determinato un aumento della distanza fra chi ha molto e chi ha poco o niente, come attesta il rapporto del CENSIS, sulla crescita dei Paperoni miliardari da un lato e di quanti vivono in condizioni di povertà assoluta e relativa dall’altro, su come, quindi, ci si sia allontanati sempre di più da quelle misure volte ad eliminare gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini/delle cittadine, misure prospettate dalla Costituzione. Ci si concentra, invece, sullo sbarrare il passo ad un accenno di patrimoniale.

L’ambiente, una priorità solo a parole – Sull’ambiente, una priorità assoluta secondo le dichiarazioni degli scienziati (per evitare che la vita sulla terra diventi impossibile entro i prossimi decenni), si continuano a fare enunciazioni, a livello centrale e periferico, senza cominciare ad operare concretamente, mettendo termine, finalmente, agli investimenti per grandi, e piccole, opere inutili e dannose (si pensi, tanto per esemplificare, al TAV in Val di Susa e, restando nell’area fiorentina, al sottoattraversamento TAV di Firenze ed all’ampliamento dell’aeroporto di Peretola, un aeroporto che, fra l’altro, non ha nemmeno le carte in regola per funzionare così com’è, progetti entrambi riproposti con forza dal Presidente regionale Giani). E si continua ad ignorare l’unica grande opera urgentemente necessaria, quella della messa in sicurezza del territorio, che significa interventi di manutenzione, cessazione delle cementificazioni e della distruzione degli ambienti naturali, sostegno all’agricoltura diffusa e non monotematica, rivitalizzazione delle numerose  zone in via di abbandono (il che, fra l’altro, comporterebbe numerose possibilità occupazionali – sia di tecnici ed esperti che di operai ed agricoltori, italiani e migranti -).  E’ questa una tematica che le continue alluvioni, frane, smottamenti ci ripropongono costantemente, con costi altissimi per la collettività, senza però che si intervenga (se non a distruzioni avvenute).

Anche per quanto riguarda le priorità sanità ed istruzione non vi sono segnali significativi di cambiamenti di rotta, che dovrebbero comportare l’assunzione del personale necessario al fine di restituire piena centralità al sistema pubblico ed un forte aumento degli investimenti per strutture ed attrezzature adeguate.

Dove trovare le risorse – Le risorse ci sarebbero, provenienti dalla già citata tassa patrimoniale (che, assunta in questa fase straordinaria, dovrebbe poi divenire permanente) e dalla conversione ad usi civili di buona parte delle spese militari, come da sempre sostengono le associazioni ed i movimenti pacifisti, una conversione resa ancor più urgente dalla crisi pandemica. Invece si prospetta un aumento di tali spese, si conferma l’acquisto degli F/35 (un vero e proprio insulto per le centinaia di migliaia di famiglie che si trovano in situazioni di grande difficoltà), si continua con le missioni militari all’estero, spacciate per iniziative di pace.

La lobby militare e degli armamenti continua ad imporre il suo diktat: oltre alle ingenti spese militari, abbiamo infatti una produzione ed un commercio di armi – anche verso paesi in guerra (e questo sarebbe vietato dalla legislazione vigente) -, che costituiscono un aspetto importante dell’assetto produttivo e commerciale del nostro Paese.

I sindacati di categoria non pongono il problema della riconversione e, per quanto riguarda l’ambiente, sostengono anche le opere inutili e dannose perché garantiscono occupazione.

Siamo ben lontani dai tempi in cui le organizzazioni sindacali, anche quelle settoriali, si facevano carico di questioni generali che interessavano l’insieme della popolazione.

La politica – ed in questa assunzione di responsabilità sulle questioni generali anche i sindacati facevano, e dovrebbero fare, politica – non guardava solo al presente, come avviene oggi – nei casi migliori con dei programmi -, ma aveva dei progetti di futuro, di una possibile società futura, con elementi anche utopici, comunque con una carica di idealità che dava più vigore e sostanza alle lotte per obiettivi immediati.

L’importanza dell’utopia e la necessità di progetti per il futuro – L’utopia, occorre riaffermarlo, non è un diversivo per sognatori, bensì, come sostiene lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano, un orizzonte che stimola, quando si interviene sulla situazione contingente, a camminare con determinazione nella direzione giusta: man mano che si va avanti l’orizzonte rimane lontano, ma la sua percezione – il vederlo in lontananza – ci spinge a continuare il cammino con grande energia.

E’ indubbio che le diverse iniziative che, nonostante tutto, si sviluppano su obiettivi parziali avrebbero bisogno di ricomporsi in progetti generali (per dare, fra l’altro, maggior forza alla stessa azione settoriale).

Un tempo erano i partiti che svolgevano un ruolo del genere (ed anche, in certi casi, i sindacati).

Oggi, nel silenzio assordante della politica partitica riguardo a prospettive progettuali di carattere generale e nella grande difficoltà sindacale ad uscire dall’ambito vertenziale di categoria, tale ricomposizione sembra quasi impossibile.

Per cui vengono ad esistere più Italie, non comunicanti fra loro, una, quella della politica istituzionale, volta a recepire un senso comune fatto di egoismo e di individualismo, un’altra composta dalle associazioni, dai comitati, dai movimenti che portano avanti, anche in modo conflittuale con le istituzioni – e, quasi sempre, con modalità autoreferenziali, e cioè senza collegamenti fra i vari interventi -, iniziative, attività, esperienze incentrate sulla solidarietà, sulla cooperazione, sul mutuo soccorso, per l’accoglienza, l’inclusione, la difesa dei diritti e dell’ambiente.

Manca, però, appunto, un progetto comune, per il presente e per il futuro.

La Società della Cura – Sono, quindi, da apprezzare e sostenere i tentativi di ricomporre i frammenti vitali di una situazione di grande disgregazione, non attenuata certo dal parziale mettersi insieme per rivendicazioni corporative.

Il più interessante attualmente è il progetto della Società della Cura, esteso a livello nazionale: non vuole essere un nuovo soggetto politico (l’ennesimo), ma si propone proprio, invece, di ricollegare fra loro gli interventi territoriali per la salute, per l’istruzione, per l’ambiente, per il lavoro.

Si basa sul proposito semplice – di quella semplicità facile a dirsi, ma difficile ad attuarsi – di sostituire all’idea del profitto da perseguire ad ogni costo, secondo la vulgata più diffusa, quella della cura – per le altre persone, per ciò che ci circonda, per il futuro di tutte/i noi, per una convivenza civile e pacifica, senza razzismo, sessismo, forme varie di intolleranza e discriminazione -, da assumere come linea-guida per i nostri comportamenti, per lo sviluppo di iniziative, vertenze, movimenti, per unificare quanto si muove nei territori (naturalmente in senso progressivo, partendo dal presupposto “restiamo umani” e avendo sempre ben presenti la giustizia sociale, le esigenze collettive, i beni comuni).

Il cammino, difficoltoso ed irto di ostacoli, per ricostruire una sinistra visibile ed efficace passa anche attraverso questi tentativi di ricomposizione unitaria di esperienze di vario tipo.

Un difficile processo di ricostruzione – Occorre poi che si appoggi, il processo di ricostruzione della sinistra, sulla realizzazione di spazi di incontro che mettano insieme mutuo soccorso (un ritorno alle origini), capacità di confronto e di elaborazione, convivialità, con il contemporaneo sviluppo di una tensione culturale volta a contrastare l’egemonia della destra sul piano della cultura e del senso comune – una egemonia conquistata da tempo e alimentata dal “craxismo”, dal “berlusconismo”, dal “renzismo” -.

Si tratta di un lavoro di grande respiro e non certo riducibile alle faticose e provvisorie alleanze per le scadenze elettorali, un lavoro che tenga conto del sapere sociale maturato nei movimenti e che cerchi di diventare punto di riferimento per ciò che si muove nella società in senso progressivo (con l’obiettivo di creare una massa critica in grado di rivolgersi, essendo considerata attendibile, all’insieme della popolazione).

E’ necessario tenere unite:

  • le urgenze dell’oggi (la riaffermazione come prioritario del senso del collettivo, del pubblico, dei beni comuni, rispetto al prevalere, a partire dagli anni ’80, dell’individualismo e del privato quali elementi portanti della società),
  • le prospettive per un futuro vicino (per esempio, l’utilizzo dei finanziamenti che arriveranno per far fronte alle conseguenze della pandemia, su cui stanno già cercando di mettere le mani i poteri economici forti, mentre invece andrebbero destinati ad utilizzi sociali),
  • le tematiche di fondo che caratterizzano la sinistra (l’eguaglianza e la giustizia sociale) e quelle che sono emerse in questi anni portate avanti dai movimenti ambientalista, pacifista, femminista,
  • le ricerche, le riflessioni, le elaborazioni che oggi appaiono intrise di utopia, ma che è necessario cominciare ad affrontare perché poi possano svilupparsi appieno e tradursi in proposte concrete (come quelle che hanno avviato le persone – costituzionalisti, giuristi etc. – che hanno cominciato a studiare una Costituzione della Terra).

I drammatici eventi attuali dimostrano ancora di più l’urgenza di cambiamenti profondi, quelli che da sempre sono centrali per la sinistra.

Ma si rischia che in effetti tutto prosegua come prima perchè mancano i soggetti in grado di sostenere, anche con il conflitto, tali cambiamenti.

La sinistra viene meno, risulta “desaparecida”, nel momento in cui maggiormente si dimostra necessaria la sua presenza.

Per questo vanno impegnate energie e risorse per la sua ricostruzione, che significa anche recupero per la politica di quel ruolo che le sarebbe proprio – di azione per la trasformazione dell’esistente -. E tutto ciò costituisce un fatto di grande importanza per la stessa vita democratica (che si nutre della partecipazione attiva di cittadine/i oppure si riduce a sola apparenza). Progetto, partecipazione, conflitto: sono ancora gli elementi essenziali su cui basare ogni tentativo di restituire senso e validità alla sinistra (e, più in generale, alla democrazia).

Moreno Biagioni

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