Firenze, Italia, anno 2020. Un anonimo quartiere di periferia uguale a tanti altri, con palazzoni molto grandi dai muri scrostati alternati a campi semi incolti. Un posto mal collegato con il centro della città e semi nascosto, nel senso che è difficile raggiungerlo per caso, devi sapere dove stai andando.
Spesso questi luoghi sono fatti a strati, hanno quindi un centro magari nato da un vecchio paesino in cui si trovano le case storiche, assorbito dall’avanzare onnivoro dell’urbe. Di solito questo nucleo è abitato da famiglie di classe media, dopo c’è un diradarsi di abitazioni più moderne che va a finire nella zona dei palazzoni sopracitati da cui tutti prendono le distanze.
Quest’ultimo strato, ovvero la periferia della periferia, ha una densità abitativa molto elevata e ospita le famiglie meno abbienti e meno istruite. Molti figli per ogni madre e padri che sovente se ne vanno a spasso. Pochi centri di aggregazione, per lo più affidati a cooperative e associazioni, in cui ragazze e ragazzi dal carattere indomabile trovano un ambiente che non li espelle e nel quale possono trascorrere momenti di vita adolescenziale prima che il tempo li conduca per sentieri già battuti dai loro progenitori.
Perché il problema qui è spezzare il cerchio. Il circolo vizioso che porta gli adulti a fare scelte senza futuro come interrompere l’istruzione dei figli appena possono affinché quest’ultimi vadano a lavorare. Ma senza istruzione ti aspetta lo sfruttamento, non il lavoro. E una persona sfruttata è perennemente disperata, quindi capace di pensare solo all’immediato presente, non di fare scelte o investimenti a lungo termine.
E così quello che per una famiglia di classe media è uno sforzo notevole, per una famiglia che abita da queste parti si trasforma in un ostacolo insormontabile. Hanno bisogno di più tempo per spostarsi perché tutto è lontano dal loro quartiere, i soldi bastano a malapena per mangiare e vestirsi, figurarsi per i libri! In mancanza di docenti i genitori non sono in grado di aiutare i loro figli con lo studio, perciò quello che non fa la scuola non viene proprio fatto. Ed è così che le figlie e i figli di questo posto iniziano a rimanere indietro fino a restare intrappolati.
È vero che qualcuno, ogni tanto, riesce a uscire da questo vortice ma è l’eccezione. In questo quartiere la regola è che quello che doveva servire per emanciparti si trasforma in un fardello che perpetua il tuo svantaggio. La scuola da queste parti è diventata un ospedale che cura i sani, cosa che avrebbe addolorato Don Milani. Una scuola che non sa reinventarsi e che replica ovunque modelli burocratizzati di educazione, che chiede a tutte e a tutti le stesse cose, una scuola in cui Alberto Manzi non si riconoscerebbe.
Poi ci sono le tecnologie della comunicazione che danno accesso alla rete, a una quantità inimmaginabile di conoscenza. Noi adulti abbiamo abbandonato i giovani con le porte spalancate davanti a un labirinto, così chi è stato abbastanza fortunato da avere persone generose e competenti attorno ha potuto gioire della vastità della scelta ed elevarsi, mentre chi si è ritrovato senza guida è inciampato nel peggio senza alcun avvertimento. Non basta avere accesso a internet, bisogna avere strumenti per scegliere e se questi strumenti non li dà né la scuola né la famiglia si rimane sguarniti.
Siamo nel ventunesimo secolo e ci siamo accorti dell’analfabetismo di ritorno, di quelle migliaia e migliaia di persone adulte che non riescono a capire il senso di un documento. Bene, qui siamo all’analfabetismo di andata, con genitori umiliati e nervosi nel cercare di fare capire a docenti spazientiti per quale motivo non abbiano mandato una mail, nel dover ammettere di non aver capito una circolare, nel dover segnalare che digitare un chilometrico indirizzo url per loro è impossibile.
Il Covid-19 e il distanziamento sociale hanno fatto il resto, le economie famigliari sono devastate e qui le persone campano grazie al banco alimentare. Se per tutte le famiglie è stato un enorme sacrificio passare a una modalità di studio mediato da password, circolari e applicazioni, per tante famiglie di questa periferia la quarantena può significare l’espulsione di fatto dei propri figli dalla scuola.
Eppure qualche sforzo c’è, qualche iniziativa della pubblica amministrazione che mette insieme il privato sociale e la scuola nel combattere la dispersione scolastica delle fasce più deboli della popolazione. Spesso sono progetti fatti con fondi che arrivano dall’Unione Europea. Una goccia nel mare data la vastità dei fenomeni sui quali si vuole incidere, ma pur sempre significativi.
Proprio in questi giorni, all’interno di uno di questi progetti, il lavoro coordinato di docenti ed educatori ha portato a qualche risultato. Dopo più di un mese dall’inizio della quarantena sociale, una mamma è riuscita a collegarsi con il suo telefono alla videolezione e sua figlia finalmente ha parlato con la maestra e i suoi compagni. Sembra una cosa da poco ma invece ci sono volute due settimane di analisi per far partire l’intervento, un’altra settimana per fare un censimento delle famiglie da contattare, che risultano una quarantina, lunghe negoziazioni con un marito che ha altro a cui pensare, mail e messaggi sbagliati, indirizzi copiati male, liberatorie per la privacy.
In questi giorni in molti si sono “ricollegati alla scuola” grazie a questo progetto. Questa bimba è tornata in classe e una mamma sull’orlo della frustrazione e l’abbandono si è lasciata andare e ha inviato un messaggio in chat a chi l’aveva seguita: «grazie, da sola non ci riuscivo».
Nessuno deve rimanere indietro.