di Lorenzo Lazzerini
Firenze “fascistissima” secondo la definizione mussoliniana o Firenze “Capitale morale della Resistenza”? Ancora oggi, il dualismo del capoluogo toscano lungo il ciclo storico del fascismo e della Resistenza riflette un’identità cittadina complessa e difficile da decifrare.
Nella Firenze del ventennio di regime c’era, certamente, un sentimento popolare antifascista, spesso taciuto, radicato soprattutto in alcuni quartieri (l’Oltrarno e vicino alla Pignone; i quartieri di San Jacopino e Rifredi, con un forte tessuto operaio, nel nord della città). Questo sentimento popolare antifascista si nutriva di tradizioni familiari o del ricordo ancora vivo delle violenze squadriste, di casi simbolici come l’assassinio del sindacalista comunista Spartaco Lavagnini o, infine, dei tumulti del febbraio-marzo 1921. Ma c’era anche il volto di una città plasmata dall’animo squadrista e del fascismo locale, dall’accettazione conformista del regime, o dall’immagine della folla plaudente che accolse Hitler in occasione della sua visita il 9 maggio 1938.
La guerra, con i suoi disastri militari e l’impatto sulla popolazione civile, mostrò a Firenze come nel resto d’Italia, le fragilità del fascismo, dando all’antifascismo clandestino la possibilità di farsi forza di massa. Già nel gennaio 1943 si costituì un primo coordinamento antifascista, precursore di quel CTLN (Comitato Toscano di Liberazione Nazionale) che costituirà il vertice politico della Resistenza, mentre gli uffici politici delle questure segnalavano un crescente sentimento sovversivo nella popolazione. La caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 causò poi manifestazioni di entusiasmo sotto il segno di un antifascismo e di un ripudio della guerra ormai diffusi, sia pure più a livello istintivo che di coscienza politica.
Se in città si riorganizzava la politica delle correnti antifasciste, dai liberali ai comunisti, furono Monte Morello e Monte Giovi a ospitare, nei giorni successivi all’armistizio italiano e all’occupazione tedesca, i primi nuclei del movimento partigiano della provincia. Alla nascita del movimento partigiano provinciale contribuirono sia nuclei di attivisti già politicizzati, sia la massa dei militari sbandati: dal “Regio Esercito “, con il grado di tenente, proveniva anche il leader militare più capace della Resistenza locale, Aligi Barducci, noto con il nom de guerre di “Potente”, in contatto con l’organizzazione militare comunista patrocinata, a livello regionale, da Alessandro Sinigaglia. Sull’eccezionale figura di Sinigaglia, di origini ebraico-fiorentina da parte paterna e afro-americana da parte materna, consiglio la lettura della biografia scritta da Mauro Valeri “Negro, ebreo, comunista”.
Intanto a Firenze le frange estremiste del fascismo, si riorganizzavano all’ombra degli occupanti, dopo la nascita della “Repubblica Sociale” di Mussolini, trovando un riferimento nazionale nel fiorentino Alessandro Pavolini, segretario del neo-costituito Partito Fascista Repubblicano, e distinguendosi subito per la ferocia repressiva di alcune formazioni paramilitari, come la banda del Maggiore Mario Carità. La risposta urbana più attiva della Resistenza fu allora la nascita dei GAP (Gruppi d’Azione Patriottica), diretti dai comunisti e guidati a Firenze da Sinigaglia e Bruno Fanciullacci, mentre per le attività d’intelligence militare fu importante il ruolo del gruppo di Radio Cora capeggiato dall’avvocato Italo Bocci e legato al Partito d’Azione.
Le azioni dei GAP fiorentini cominciarono nel dicembre 1943 e seminarono presto il panico nel nemico, contribuendo a scoraggiare quel clima di passività, noto come “attesismo”, visto dalla Resistenza come un elemento pericoloso, soprattutto nelle città. La forza del movimento partigiano fiorentino, ciò che gli permise poi di rivendicare un’autonomia, pure dagli anglo-americani, risiede anche in questo: il continuo attivismo. Avvicinatosi poi il fronte bellico alla città e proclamato lo stato d’assedio da parte del comandante di piazza tedesco, il Colonnello Adolf Fuchs, arrivò per il CTLN l’appuntamento con la direttiva dell’insurrezione. Vero è che nel Sud Italia Matera e Napoli insorsero contro i tedeschi prima di Firenze, ma quella fiorentina fu la prima insurrezione attraverso la quale la Resistenza poté imporre il pieno riconoscimento della propria autorità politica, facendosi poi governo locale e presenza sociale nel territorio.
Drammatici furono giorni della battaglia per la liberazione, ben descritti da Orazio Barbieri in “Ponti sull’Arno”, e tragica fu la morte, l’8 agosto 1944, per una cannonata tedesca sparata contro i quartieri dell’Oltrarno già liberati, di “Potente”, comandante della Divisione Partigiana Arno, chiamata poi in suo onore “Potente” e guidata da Angiolo Gracci detto “Gracco”. Feroce fu anche l’accanimento contro i civili dei franchi tiratori, i nuclei più disperati e fanatici di fascisti rimasti in Oltrarno dopo la partenza dei propri capi verso il nord. I tedeschi rimasero tuttavia l’avversario più temibile, dopo che il proclama insurrezionale dell’11 agosto aveva spostato il fronte cittadino lungo i viali di circonvallazione. Quando la battaglia si concluse con la liberazione di Fiesole il 1 settembre, la Divisione Arno dovette sciogliersi, ma suo fu il grande vanto di aver impedito il disarmo che l’VIII Armata Britannica aveva minacciato a inizio dell’insurrezione.
A Firenze, intanto, l’allontanamento del fronte non aveva spento totalmente l’eco della guerra: fino all’aprile 1945, con Liberazione del nord Italia, 500 volontari fiorentini, soprattutto ex partigiani, combatterono lungo la Linea Gotica nel ricostituito esercito italiano a fianco dei britannici contro i tedeschi. A quel punto le sfide politiche del CTLN erano proiettate soprattutto verso la ricostruzione; mentre non ancora conclusa, oggi, è la sfida di tenere viva, senza retorica, la memoria di quella parte di città che mai si sottomise al fascismo.