Siamo dentro una pandemia mondiale di Covid-19, quasi tutto il mondo è in lockdown, le città sono deserte, spettrali. Uno dopo l’altro i paesi industrializzati e poi gli altri hanno dichiarato il “tutti in casa” per ridurre la velocità di propagazione del virus. Abbiamo vissuto una Pasqua 2020 di dolore e di paura per il futuro che si presenta difficile dal punto di vista economico e sociale. Sono state bloccate in Italia molte filiere produttive considerate non essenziali, gli operai e i precari sono andati in cassa integrazione, sono state erogate sovvenzioni ai liberi professionisti e forniti aiuti alimentari agli indigenti. Si usano parole ed analogie di guerra anche se questa non è una guerra, qualcuno dice che è il pianeta che ci punisce; credo sia più semplicemente la nostra supponenza.
Tra le attività essenziali è rimasta la produzione degli F35, almeno delle componenti realizzate in Italia. Questo cacciabombardiere multiruolo e da attacco è divenuto un simbolo delle spese militari assurde per un paese che nella Costituzione ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali (Art.11). Al costo unitario di almeno 80 milioni di euro vanno aggiunti i costi di gestione, ma importanti sono alcuni aspetti di sicurezza legati al software di controllo dei sistemi di bordo che resta di proprietà USA ed i cui dati saranno sempre di loro proprietà.
La pandemia pone però anche un problema di scelte strategiche, di idee sulla difesa del Paese, che dovrebbe significare capacità di difendere la vita, la salute, le proprietà e la libertà dei cittadini.
Il timore è che i capi militari siano sempre in ritardo rispetto all’evoluzione delle tattiche di guerra.
Abbiamo visto in passato cariche di cavalleria contro mitragliatrici e carri armati, la linea Maginot aggirata semplicemente. Gli USA non vincono una guerra da quella contro la Corea, che era uno scontro sul campo di eserciti, così come la battaglia contro l’Iraq; dico battaglia perché la guerra contro l’Iraq è degenerata nella lotta al Daesh e non è ancora finita, avendo coinvolto la Siria e la Turchia.
In tutti i casi si è visto che contro forze che “nuotano nel popolo come pesci” per dirla alla Mao, gli eserciti tradizionali e gli armamenti potenti non servono che a provocare distruzioni e morti tra civili, ma poco contribuiscono a vincere una guerra. Lo ha imparato anche la Russia in Afghanistan.
D’altra parte assistiamo alla diffusione di bande armate e gruppi terroristici che portano avanti sanguinose guerriglie contro governi che non riescono ad avere il controllo del territorio, come in Somalia con Al Shabaab legato ad Al Quaida, in Niger con Boko Haram e sempre più nel Sahel con gruppi che si rifanno alla Jihad per la rinascita del Califfato.
L’Arabia Saudita non riesce a vincere la guerra nello Yemen senza truppe sul campo.
Tutti gli armamenti nucleari ed i missili hanno sempre fatto paura, ma non servono a vincere una guerra, forse ad evitarla per paura di una reciproca distruzione secondo la dottrina MAD (Mutual Assured Destruction). Viceversa è aumentato il rischio di attacchi terroristici con bombe nucleari rubate (disperse con la dissoluzione dell’URSS) o con bombe nucleari sporche, cioè scarsamente distruttive ma capaci di diffondere scorie radioattive pericolose per la vita umana. D’altra parte l’attacco dell’11 settembre alle torri gemelle di New York ha dimostrato che anche aerei civili possono essere usati come armi da terroristi, così come fertilizzanti agricoli nell’attentato ad Oklahoma City, attuato nel 1995 da un bianco contro il governo centrale. Per non parlare della setta Aum Shinrikyo che a Tokio riuscì ad usare il sarin, gas nervino, in un attentato alla metropolitana.
Oppure pensiamo agli allarmi per le lettere all’antrace spedite negli Stati Uniti. Gli attacchi biologici sono sempre più probabili, dato che in Canada un virologo universitario, con prodotti acquistati in rete, ha ricreato artificialmente un virus del tipo del vaiolo (Le Scienze, 4/2020).
Perché distruggere le proprietà quando si può annientare gli abitanti? D’altronde è quanto si riprometteva di ottenere la famigerata bomba ai neutroni di cui volevano dotarsi gli USA.
Il modo di interferire nella vita di un paese ostile si trova anche per via digitale, se è vero quanto si dice sulle interferenze russe nelle elezioni americane, o gli attacchi con virus informatici di Israele al sistema nucleare iracheno prima ed iraniano poi. Ovviamente questi sono casi di cui si parla, ma di cui non c’è certezza, anche se sono certi i casi di hackeraggio nei confronti di banche, reti informatiche etc. che hanno portato a volte al blocco dei sistemi informatici.
Da quanto detto segue che la difesa di un Paese richiede lo sviluppo di un esercito con molte più truppe ed attrezzature dedicate al controllo sanitario del territorio, il rafforzamento delle strutture sanitarie civili vicine ai cittadini per ridurre il rischio di epidemie. La realizzazione di reti informatiche robuste e resilienti contro l’hackeraggio, che è un modo di garantire i collegamenti e la tenuta sociale, come abbiamo appena fatto esperienza durante le quarantene imposte.
Ambedue i sistemi avrebbero poi ricadute importanti in politica estera, perché invece di missioni militari di “peace keeping” come in Afghanistan, potremmo mandare ospedali e medici a curare le persone ed affrontare epidemie, potremmo contribuire a diffondere cultura e istruzione ed agevolare contatti attraverso reti di comunicazione.
Tutto costerebbe meno e sarebbe più efficace di alcuni cacciabombardieri supermoderni e distruttori.
Giuseppe Grazzini
È tempo di cambiare come mostra il link che segue:
“L’orologia dell’apocalisse, cento secondi alle fine del mondo. E non è colpa del coronavirus”