Le strade sono ormai quasi deserte a Firenze. Silenzio, movimenti lenti, una pulizia nuova dell’aria, una meraviglia – e però anche un’angoscia di fondo che entra nell’anima. Come la sensazione limpida dell’assenza. Del lutto.
Tante persone scomparse. E scomparse in solitudine, senza nome, indicate con l’età e le malattie pregresse, ridotte a curva statistica. Malati ignoti. Nessuno che può fargli visita, dare un bacio o tenere la mano. Neppure l’abbracciarsi dei propri cari, dopo: un rito in cui essere ricordati, che dia una specie di misura della vita vissuto. Se pensi che è stata bella, pensi che abbia lasciato del calore nel mondo.
Io esco di casa per andare a fare il baby sitter. Nipotina di un anno e mezzo, genitori che lavorano, unico nonno disponibile.
E stare con una bambina piccola è come una rinascita. Una ventilazione di vita, come ricominciare da capo a vedere il mondo. Anche un po’ inventarlo, perché ogni giocattolo e ogni oggetto è provato in tutte le sue possibili combinazioni. Nessuna istruzione per l’uso è accettata. Tutto prova a contenere tutto, ogni forma tenta di combinarsi con un’altra. Da un lato si imita dall’altro si reinventa. I giocattoli più raffinati si esaltano nell’essere rivoltati, aperti, tolti e rimessi nella scatola.
È come l’allegria universale dei cuccioli. La festa dell’esserci, fra le persone e le cose – nell’aria, nel sole e nel vento.
Un potente antidepressivo sono anche i miei ex studenti, pure chiusi in casa, che seguo ancora nei loro gruppi Whatsapp o su Instagram. Mi sembrano mille volte più sensibili e densi di vita degli adulti. E di fronte a un mondo mille volte peggiore di quello che avevamo davanti noi. Allora tutto sembrava possibile, tutto nelle nostre mani. Per loro è già molto immaginarsi uno spazio ravvicinato, intimo, in cui non essere travolti. Eppure i loro occhi a me parlano sempre di desiderio ed energia. Di apertura al mondo. Sono “sdraiati” solo per il narcisismo degli adulti. Organizzano con gli insegnanti delle video-lezioni, che spero un po’ funzionino. Comunque la scuola megamacchina di programmi e voti non credo subirà chissà quali problemi. Si adatterà. L’esperienza personale delle ragazze e dei ragazzi porterà invece dei segni non facili da immaginare. E tuttavia nelle chat la conversazione spesso molla gli insegnanti e si sposta fra loro, diventa gioco – quello abituale, antico: battute, scherzi, prendersi in giro.
La scuola è sempre stata anche questo tessuto leggero interpersonale, una rete orizzontale di comunicazione. Non si insegna e non si impara nulla senza una dimensione informale, di relazioni vive dove sei presente non solo con la tua testa da riempire, ma con il tuo corpo, il tuo sguardo, la tua anima. Il corpo ora è un’assenza, però credo li abbiano ben presenti i loro corpi quando premono la tastiera.
Adesso quegli sguardi non so come si muovano per la casa. E chissà come lo vedono il mondo fuori, lo spazio desertificato, il tempo sospeso. Penso che se un futuro potrà esserci, dovrà essere molto diverso. Più intenso di contatti, più comune e condiviso. Non perché si canta l’inno di Mameli dai balconi. Oggi la patria è davvero il mondo intero. Perché l’ortolana mai vista prima, vedendoti imbarazzato nel piccolo negozio ti dice, non si preoccupi se non si può avvicinare, dopo ci abbracceremo.
I giovani peraltro hanno sempre un bisogno straordinario per esistere individualmente di avere una appartenenza di gruppo. Non c’è libertà e invenzione della propria vita fuori da un tessuto di relazioni, da cui divergere magari. Se un futuro ci sarà avrà ragazze e ragazzi come protagonisti.
Gli adulti hanno vissuto secondo la battuta di Woody Allen: Perché dovremmo preoccuparci delle nuove generazioni, che cosa hanno fatto loro per noi?
Toccherà a loro fare qualcosa per se stessi, e quindi anche per noi. Saranno quelle e quelli che, non avendo da perdere che i loro divani, liberando se stessi libereranno…
Andrea Bagni