La Firenze semi-deserta di questi giorni mi ha ricordato quella che ho visto anni fa nell’episodio fiorentino del film “Paisà” di Roberto Rossellini.
Erano immagini che ricostruivano l’ambiente cittadino dell’agosto 1944, prima della battaglia che avrebbe liberato la città dai nazi-fascisti: nelle strade quasi senza anima viva – se ben ricordo, si vedevano solo una damigiana d’acqua che veniva fatta passare con una fune da un lato all’altro di una strada, delle persone con un carretto che attraversava una piazza del centro e poco altro – aleggiava un clima sospeso, di attesa.
La memoria è andata, contemporaneamente, anche alle strade invase dalle acque impetuose dell’Arno durante l’alluvione del 1966, anche qui senza presenze umane, anche qui in attesa che le persone in carne e ossa tornassero protagoniste della vita della città.
Si tratta di momenti diversi della storia di Firenze – uno collocato nell’ambito di una guerra mondiale, l’altro di dimensioni più locali –, però entrambi molto drammatici. Come quello attuale, collegato addirittura ad una pandemia che sta sconvolgendo ogni angolo della terra.
Le ho citate, quelle situazioni del 1944 e del 1966, perché determinarono un impegno straordinario delle energie migliori della società, le spinsero ad organizzarsi, a battersi, a produrre cambiamenti profondi che rimasero anche al di là dell’emergenza.
Nel primo caso, non solo la città fu liberata ad opera dei partigiani prima che arrivassero le truppe alleate, ma il CLNT (Comitato di Liberazione Nazionale della Toscana), articolatosi in sotto-comitati rionali – a cui spettò un ruolo importante nel periodo che portò alle prime elezioni amministrative –, dette vita ad un governo cittadino espressione delle forze della Resistenza.
Nel secondo, fu l’autorganizzazione popolare, mentre le istituzioni finivano anch’esse sott’acqua, a produrre i primi soccorsi nei rioni alluvionati: nacquero così i comitati di quartiere ed un movimento che si sviluppò poi nell’arco degli anni ’70, incidendo profondamente sulla vita della città.
Oggi, evidentemente, ci troviamo davanti a problemi diversi, molto complessi, ma credo che dovremmo affrontarli con lo stesso animo di allora, basandosi sul senso della collettività, sull’affermazione del ruolo essenziale del pubblico e dei beni comuni, sulla centralità dello spirito di solidarietà e della partecipazione, sull’importanza della democrazia costituzionale, da tutelare con forza, e avviando sul territorio la formazione di quei comitati di base che Guido Viale ha indicato più volte, nei suoi articoli, come indispensabili per affrontare la crisi climatica, per portare avanti la riconversione ecologica, per promuovere nuove occasioni di lavoro.
Occorre cominciare ad operare in tale direzione, con tutti gli strumenti disponibili, seppure nell’isolamento provocato dall’attuale quarantena.
In altre parole, è necessario impegnarsi a fondo per cambiamenti radicali (affinché niente, dopo l’emergenza, sia come prima), riproponendo anche la prospettiva del socialismo, di un socialismo libertario che sappia cogliere appieno i contributi dell’ambientalismo e del femminismo.
Fu all’insegna della partecipazione che si ebbe a Firenze, nel 2002, la straordinaria esperienza del Social Forum Europeo.
Non dette poi i frutti sperati, ma rimane un episodio di grande valore e bisognerebbe recuperare lo spirito che lo animò e che portò quasi un milione di persone alla immensa manifestazione per la pace che lo concluse.
Ancora una volta è su questi terreni che si gioca la partita e che si può recuperare l’obiettivo, da tempo messo in un angolo, di cambiare il mondo.
Moreno Biagioni