Il 5 Aprile 2020, sarebbe stata una domenica molto importante per me e per tanti cristiani come me. La messa non solo prevede i passi del Vangelo che si riferiscono all’ingresso di Gesù, osannato, a Gerusalemme (palme poi sostituite da rami di olivo) ma soprattutto prevede il Passio, letto a più voci, dalla preghiera di Cristo al tradimento di Giuda, all’arresto di Gesù, alla inettitudine colpevole di Pilato, alla fragilità di Pietro, alla crocefissione. Ho sempre amato questa celebrazione perché mi entra dentro e mi fa interrogare su molti quesiti.
Il papa non ha celebrato in una San Pietro piena di fedeli, come negli anni passati, e l’ho visto provato, sofferente, instabile sulle gambe ma commosso ha celebrato in maniera perfetta con una omelia che ha abbracciato tutti noi, parlando di ogni categoria, dai più umili a quanti si occupano degli altri in questa terribile emergenza.
Dopo aver assistito alla messa non mi sono sentita colma, non ho provato gioia anzi le mie domande sono aumentate e mi hanno distrutto. Questa è stata una domenica terribile per me, non perché sono stata in casa come al solito in questi 27 giorni ma perché mi sono messa a pensare a tutti quelli che soffrono.
Ho pensato agli anziani soli e forse malati, ho pensato ai detenuti, chiusi con il dramma di essere infettati dal virus, ho pensato alle famiglie chiuse in casa con un disabile, ho pensato alla nostra superficialità ed egoismo. Siamo una società malata ma forse non siamo nemmeno una società. Ci siamo rallegrati e fatti forza cantando dai balconi come se quello che stavamo vivendo fosse solo un sogno e che ci saremmo risvegliati molto presto. E, invece, i giorni aumentano anche grazie a degli scriteriati, direi delinquenti, non rispettano le norme certamente restrittive ma necessarie. Noi, democrazia occidentale, privati della nostra libertà?
Sembra che non abbiamo realmente compreso che assistiamo a qualcosa di terribile, di un virus che non perdona, che non abbiamo medicine, che il vaccino non sarà pronto in breve tempo. E intanto tutto crolla, tutto il nostro essere fittizio non ci protegge più.
E davanti agli occhi le centinaia di bare in attesa di una sepoltura…
La cura, il rispetto dei morti, rappresenta l’inizio della civiltà più ancora della scrittura. È il più alto valore etico e ora sembra non esserci più. I moribondi vedranno solo infermieri e dottori e se ne andranno così, non potranno dire niente ai loro cari, non avranno una parola di conforto dai loro affetti.
Non c’è spazio per la pietas, non c’è nemmeno spazio per voler lottare per categorie abbandonate. Penso ai senza tetto, penso a chi ha fame ma si vergogna di chiedere.
Si dice che questa pandemia ci farà rinascere proprio perché abbiamo sofferto tutti, dato che non sapevamo affrontare il dolore, ma dubito molto che questa rinascita morale, etica avverrà fino a quando si continuerà a perseguire i propri interessi, fino a quando si godrà di privilegi, se si continuerà a vedere solo ciò che ci manca e non guardare a ciò che potremmo fare per la nostra comunità, oltre che appendere la bandiera italiana, fuori casa, fino a che percepiremo l’altro come un pericolo alla nostra vita.
Non c’è rinascita senza uguaglianza di diritti e sociale.
Personalmente queste giornate sono state lunghissime per me, non ho paura ma comprendo chi la prova, ma questa paura distrugge la razionalità, fa perdere comportamenti responsabili e maturi, entra dentro di noi e così ci lasciamo andare. Senza forze, senza energie.
Nel mio caso ogni mattina segno tutto quello che farò nella giornata, ma poi l’angoscia, i pensieri, la solitudine sembrano bloccarmi. Non ho voglia, mi sembra incredibile finire un mio studio di arte, continuare il mio romanzo. Non ce la faccio, mi suonano vuote le parole perché la mia mente è altrove.
E penso ai miei cari, penso a Francesca che, non vivendo con me, non posso vedere. Penso ai miei amici, penso alla mia Firenze, alle sue piazze deserte che sono però la nostra anima, l’anima della nostra comunità.
Simonetta Di Pino